Alle tante contraddizioni normative che, purtroppo, caratterizzano il gioco legale in Italia - e alle quali ci si propone, fin da troppo tempo, di mettere ragionevolmente mano -, si aggiungono problemi di natura pratica, che incombono e investono gli operatori di gioco legale.
Gli operatori concessionari di gioco legale in Italia avevano già subìto i duri colpi inflitti dalla pandemia e dalle consequenziali restrizioni che sono state applicate in modo estremamente severo nei loro confronti – fra i primi a chiudere e fra gli ultimi a riaprire –, circostanza che ha condotto a una massiva migrazione verso i casinò online sicuri ADM i diversi utenti che si sono visti impossibilitati a giocare di persona.
A questa situazione problematica, si aggiunge la sostanziale impossibilità a operare secondo i dettami previsti dalla normativa vigente, per alcuni operatori del settore.
La causa è da ascriversi alla decisione, da parte di alcuni istituti bancari, di chiudere arbitrariamente i conti correnti delle imprese che hanno a che fare col gioco pubblico o di negare l’apertura di nuovi flussi.
Se nel primo caso si potrebbe ipotizzare un controllo da parte dell’istituto bancario e una decisione ponderata derivante dall’analisi di determinati aspetti, lo stesso non si può automaticamente dire per il secondo caso: sono, infatti, molteplici le testimonianze che attestano che la preclusione di tale rapporto derivi dalla mera appartenenza a un determinato codice ATECO, sgradito – o meglio, non gradito – all’istituto o al gruppo bancario di riferimento.
In realtà, i dubbi sorgono anche nel caso di rapporti bancari già esistenti, poiché vengono spesso invocate nuove policy aziendali o codici etici, secondo i quali il rapporto contrattuale non può più proseguire.
La sostanza è, riprendendo le parole di Antonio Martino, uno dei deputati che hanno presentato un’interrogazione al Ministro dell’Economia, che le banche non vogliono “intrattenere rapporti con soggetti la cui attività prevalente risulti essere connessa al gioco legale dello Stato”, decisione che “pare discriminare i clienti in relazione all’attività commerciale da loro svolta”.
Dunque, regolari imprese italiane si trovano impossibilitate a rispondere a requisiti essenziali richiesti dallo Stato, con possibili conseguenze drastiche, che potrebbero portare alla loro chiusura. Già perché i concessionari di gioco legale sono necessariamente tenuti all’apertura di un conto corrente bancario, al fine di garantire la tracciabilità di tutte le operazioni e dei flussi di denaro, nonché per il versamento di quanto dovuto allo Stato (compenso del concessionario, canone ADM, Preu), obbligatoriamente a mezzo RID, onde evitare il blocco delle apparecchiature, la segnalazione all’ADM e la conclusione del contratto di concessione.
Pertanto, non solo si tratterebbe della disfatta di piccole e medie imprese, operanti in un campo più che legittimo, ma di un danno ingente per lo Stato, in quanto contribuiscono al gettito erariale – si pensi alla percentuale di prelievo che incombe su VLT e AWP, nettamente superiore a quello delle slot machine online con soldi veri -, nonché di una concreta e rovinosa opportunità di crescita per il gioco illegale.
Il problema è già stato rappresentato da diversi attori del comparto:
- gli operatori stessi, che erano scesi in piazza manifestando, oltre ai cospicui disagi cagionati dalle restrizioni sanitarie, anche l’impossibilità di accedere a prestiti per diniego da parte delle banche motivato dall’appartenenza al codice ATECO;
- i presidenti di sindacati e associazioni (Massimiliano Pucci di As.Tro., Giorgio Pastorino di STS, Chiara Sambaldi e Andrea Strata, direttori dell’Osservatorio permanente Giochi, legalità e patologie dell’Eurispes);
- il direttore dell’ADM Marcello Minenna;
- svariati parlamentari che hanno, nel corso degli anni, effettuato diverse interrogazioni al MEF (Mallegni, D’Attis, Mulè, Ruggieri, D’Ettore);
Ebbene, un segnale positivo è finalmente giunto da parte del governo, nella persona del Sottosegretario al MEF con delega ai giochi Federico Freni, in seguito all’ennesima interrogazione, questa volta promossa dai deputati di FI Antonio Martino, Mauro D’Attis e Patrizia Marrocco: Freni ha affermato che “Un approccio che preveda la cessazione massiva e indiscriminata delle relazioni d'affari con intere categorie non sarebbe coerente con l'approccio basato sul rischio stabilito nella normativa unionale e domestica" e ha preannunciato un provvedimento “volto ad individuare misure, anche transitorie, di prosecuzione per l'attuale sistema, in vista dell'adozione, con le nuove convenzioni di concessione, di una disciplina che risponda ai molteplici interessi presenti, al fine di conseguire una loro equo bilanciamento chiuse”.
Freni ha inoltre rammentato che il sistema concessorio italiano fornisce una garanzia ulteriore e specifica al mondo bancario, grazie alla selezione e ai controlli a cura dell’ADM, dichiarando inoltre che “gli obblighi imposti dalle convenzioni di concessione ai concessionari di stato e all'intera filiera relativi alla necessità di dotarsi di conti correnti dedicati e di effettuare i versamenti tramite RID risponde al superiore interesse pubblico erariale di assoluta certezza delle entrate nonché di trasparenza e tracciabilità dei flussi finanziari. Il suo mantenimento è pertanto un’esigenza insopprimibile e di primaria importanza per la tenuta dell'intero sistema concessorio”.
Freni prosegue affermando che ABI (Associazione Bancaria Italiana), interpellata da ADM, ha rappresentato “che esiste il tema del rispetto dei principi comunitari e l’impossibilità di intervenire su legittime scelte commerciali dei singoli istituti di credito, spesso legati alla volontà di non intrattenere rapporti con il settore del gioco con vincita in denaro, ritenuto a forte rischio.”, ma che “ADM sta ponendo la massima attenzione nella risoluzione del problema, reso ancora più difficile dall’insicurezza ed instabilità legate all’attuale fase di proroga delle concessioni che impedisce ogni tipo di programmazione a medio e lungo termine e l’individuazione di nuove regole”.
Tuttavia, il sottosegretario rimarca anche che potrebbe non essere giustificata la cessazione di rapporti bancari, o la loro preclusione, sulla scorta della mera categoria di appartenenza e prescindendo da ragionate analisi dei singoli profili di rischio, che potrebbero variare sensibilmente, pur trovandosi all’interno della medesima categoria.
Questo è d’altronde anche il parere dell’EBA, l’Autorità Bancaria Europea, che convalida l’inadeguatezza del de-risking cui stanno ricorrendo le banche, poiché applicato anche a casi in cui non sarebbe necessario; EBA rimarca che “fornire l'accesso a prodotti e servizi finanziari almeno di base è un prerequisito per la partecipazione alla vita economica e sociale moderna e il de-risking, quando non è giustificato, può causare l'esclusione finanziaria di clienti legittimi. Può anche influenzare la concorrenza e la stabilità finanziaria”.
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