Sarà l’anno della svolta, questo 2020, per il settore del gioco pubblico? Si attendono novità, nonostante il Decreto Dignità, nonostante il Prelievo Erariale Unico ad un terzo aumento ed ormai alle stelle. L’incremento della tassazione, a maggior ragione su tutti gli apparecchi da intrattenimento è un dato di fatto, come è un dato di fatto un payout minoritario rispetto al 68% di un tempo. In un quadro così un riordino è l’unica soluzione che resta, per far fronte ad ogni crisi del settore, alle riduzioni delle vincite, alle perdite erariali. Problemi reali e concreti che lo Stato, soggetto in causa attivamente, nemmeno pare porsi.
Un sistema pieno zeppo di anomalie, quello del gioco pubblico italiano, avvinghiato anche nella ormai tristemente celebre “questione territoriale”, tra norme che cambiano da comune a comune e regione e regione, a minare e compromettere la stabilità di un intero sistema. E non solo, soprattutto per il fatto che ad ogni discussione sulla Manovra di Bilancio non si fa altro che tagliare e recidere, incrementare dal punto di vista fiscale ed aggiungere, chi più, chi meno, dossier infiniti che seguono o anticipano la manovra ogni anno.
Segnali di allarme in un quadro a tinte fosche, mentre il governo, Conte I ma anche e soprattutto l’attuale Conte II, fa orecchie da mercante senza scendere in campo e trovare strategie. Ed anzi, facendo il passo contrario, come per esempio pensare di anticipare le gare per il rinnovo delle concessioni degli apparecchi, anche dinanzi la manifesta impossibilità di poter procedere con l’attuale normativa voluta dallo stesso governo. Un impasse assurdo, ma reale. A fronte di una legge, approvata e in vigore dal 1° gennaio, per giunta. Nello sconforto totale di un intero sistema che è sull'orlo del baratro. Basterebbe poco, veramente poco: una semplice, e unica, ammissione di colpa per contestualizzare miratamente il problema e dedicare un paragrafo, forse nemmeno intero, alla questione del Riordino. Per superare le leggi regionali e uniformare le normative a livello nazionale. Come doveva essere, per giunta, dal 2017, a seguito della Conferenza Stato-Regioni. Si era detto di intervenire sul tema, ma nulla è stato più fatto. L’unico barlume di speranza è stato presto spento.
Fino ad arrivare al 2020, l’anno di non ritorno: il comparto, quest’anno, o rinasce o muore. Al di là della manovra, delle tasse, degli aumenti. Il settore dovrà tornare al centro dei progetti e dei propositi del governo che, da par suo, dovrà impegnarsi per garantire il giusto livello di tutela della salute e l’ordine pubblico, accontentando tutte le parti in causa. Ed anche l’impresa, con la libertà necessaria per operare, in questo, come in ogni altro settore. Sostenendolo e non sfiduciandolo. Fissando degli obiettivi, etici, morali, economici, sostenendo un settore storicamente virtuoso ma ormai, inevitabilmente forse, compromesso. Il tutto col contributo di un’azienda che si è sempre detta disponibile ed aperta al dialogo.
Una situazione in cui è precipitato tutto il Paese: ora c’è da risalire la china dopo aver toccato, non ancora del tutto, il fondo. Un paradosso a tutti gli effetti ma inevitabile, nel 2020: l’anno massimo della crisi da riconvertire in rilancio. Stavolta davvero. Stavolta definitivamente.
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